IL RITIRO DA KABUL E IL CALENDARIO DEL CAOS MONDIALE

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Riprendiamo da Libero dello scorso 14 agosto 2024 l’editoriale di Mario Sechi:

“Tre anni fa, il 15 agosto del 2021, Kabul finì (di nuovo) nelle mani dei talebani. Entrarono nella capitale afghana senza incontrare ostacoli, la loro avanzata fu rapidissima. Il 31 agosto, il generale Chris Donahue, comandante della 82esima divisione aviotrasportata, lasciò la città, era l’ultimo americano a Kabul.

Da quel momento parte un risiko incredibile: un anno dopo, la Russia invade l’Ucraina e apre un conflitto nell’Europa Orientale che dura da 903 giorni; passano due anni e Hamas scatena la caccia all’ebreo nel territorio di Israele, è l’inizio della guerra di Gaza che è in corso da 313 giorni.

Il «ritorno a casa» dei soldati che tutti i presidenti tentarono, fu portato a termine dopo un accordo raggiunto tra i talebani e l’amministrazione Trump. Biden ordinò la ritirata, fu eseguita nel peggiore dei modi, a molti ricordò la caduta di Saigon nel 1975, la foto storica della fuga in elicottero sul tetto dell’ambasciata americana, un flashback acceso dall’aereo da trasporto C-17 preso d’assalto dai disperati afghani che cercavano di sfuggire all’imminente vendetta talebana.

L’Economist pubblicò una copertina durissima intitolata «La debacle di Biden», l’operazione venne definita come quello che era, un «fiasco». Biden digerì tutto e lasciò migliaia di persone che avevano collaborato con gli Stati Uniti – creduto alla parola libertà in mano a bande di criminali che scatenarono una caccia porta a porta per le strade di Kabul e nei villaggi.

Il musicista Fawad Andarabi venne ucciso davanti alla sua famiglia; il comico Khasha Zwan fu prelevato dalla sua casa, fatto salire su un’auto, e poi sgozzato. Le donne furono abbandonate al loro destino di segregazione e abusi. Questa storia di dolore, morte e tradimento è arrivata fino alle Olimpiadi di Parigi, quando l’atleta afghana Manizha Talash si è presentata con la scritta «Liberate le donne afghane», la giuria l’ha squalificata per aver espresso un’idea politica, l’ultimo sfregio di un mondo che non sa più riconoscere il dritto e il rovescio, il Bene e il Male.
Tre anni dopo la ritirata dall’Afghanistan, l’Iran sfoglia il calendario, deve fissare un appuntamento con le armi, il giorno dell’attacco a Israele. Lo farà?

Nessuno può rispondere con certezza. Si è detto che i Pasdaran erano pronti e premevano per una risposta immediata e il Presidente Masoud Pezeshkian ha ribadito che «l’Iran ha diritto di rispondere». Bisogna seguire le mosse di chi alla fine deciderà, l’Ayatollah Ali Khamenei, la guida spirituale dell’Iran. Il 31 luglio scorso, dopo l’eliminazione a Teheran del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, Khamenei afferma che Israele ha «preparato il terreno per una severa punizione»; lo stesso giorno, il capo religioso ribadisce che «dopo questo amaro e tragico evento che si è verificato all’interno dei confini della Repubblica islamica, è nostro dovere vendicarci»; l’11 agosto, Khamenei pubblica su Xun manifesto dove Israele viene dipinto come una «gang di terroristi». Da giorni si attende una sortita militare dell’Iran, Hamas e Hezbollah lanciano razzi su Israele, la diplomazia internazionale chiede il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas, il negoziato dovrebbe ripartire domani a Doha.
(…) A migliaia di chilometri di distanza, al Cremlino, Vladimir Putin osserva la partita in Medio Oriente mentre organizza a sua volta una risposta militare all’invasione dell’esercito ucraino nella zona di Kursk. È la matrioska della guerra: Mosca è uno stretto alleato di Teheran, martedì era nella capitale russa il Presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas, mentre l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu è stato in Iran pochi giorni fa.

Va ricordato che la Russia ha i jet da combattimento Sukhoi Su-35 e il sistema di difesa missilistica terra-aria S-400, uno scudo che l’Iran vorrebbe per rispondere ai caccia F-35 di Stati Uniti e Israele.

A sua volta Putin ha bisogno dell’Iran per condurre la guerra in Ucraina, i droni usati da Mosca sono di fabbricazione iraniana.

Tutto questo è accaduto durante la presidenza del democratico Joe Biden. Il ritiro dei soldati americani dall’Afghanistan ha innescato una reazione a catena, i nemici dell’Occidente hanno visto le debolezze della Casa Bianca, hanno pensato «si può fare». E l’hanno fatto.”.