INASPETTATI “PERCORSI MARIANI”: DAL VORALBERG A KARAGANDA (di Guido Verna – 1^ parte)

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Siamo stati più volte con la famiglia nel Voralberg, il land austriaco più occidentale.

La prima volta fu quando, più di vent’anni fa, alla fine della vacanza nella valle dello Stubai, decidemmo di rientrare in Italia passando per Landeck, per poi risalire il Passo Resia, richiamati dal fascino del campanile emergente dalla superficie del lago omonimo, che ci dava molte emozioni. Ci ricordava, infatti, la “nostra” Cathédrale engloutie, quella di una memorabile “meditazione” di Giovanni Cantoni (1938-2020), in cui, per descrivere la nostra condizione esistenziale, si era servito, come Claude Debussy (1862 –1918), di quel mito bretone, di quella cattedrale sommersa, della quale, però, si riuscivano a sentire ancora i suoni delle campane, dell’organo e dei canti del coro.

Un’altra volta fu quando – tanti anni fa –   ci inoltrammo più profondamente nel Voralberg, per visitare la chiesa-fortezza dedicata “Alla nostra amata Signora” (“Zu unserer Lieben Frau”) di Rankweil, che svetta sulla città dall’VIII secolo, e per ammirare, dal suo cammino di ronda, il panorama che arriva fino alla Svizzera e al Liechtenstein.

Oppure, in altre occasioni, per stupirci, a Bregenz, del teatro sull’acqua del lago di Costanza o per vedere prima Lindau e poi l’abbazia benedettina di Reichenau e raggiungere infine le sorgenti del Danubio. E ogni volta, mentre si attraversava Feldkirch, i cartelli indicatori per la Bahnhof ci ricordavano il Beato Carlo d’Asburgo, che Stephan Zweig aveva visto – «dietro il vetro del finestrino, ritto in piedi accanto alla sposa Zita, vestita di nero» – uscire definitivamente dall’Austria proprio dalla stazione di questa cittadina.

Analogamente, più volte, da quasi cinquant’anni, pur non essendoci mai stati, avevamo frequentato e visitato “con l’immaginazione” il Kazhakistan attraverso i libri che raccontavano dei Gulag comunisti e, in ultimo, per scrivere qualcosa sul grande miracolo di Oziornoje. Avevamo cominciato a “visitarlo” fin da ragazzi, da quel 12 aprile 1961, quando, dal cosmodromo kazako di Bajkonur, il maggiore Yuri Gagarin (1934-1968), a bordo del Vostok, era partito alla conquista dello spazio, dopo aver lanciato un messaggio all’Unione Sovietica e a tutto il mondo con questa dedica: «Voglio dedicare questo primo volo spaziale al popolo del comunismo – una società in cui il nostro popolo sovietico sta già entrando e in cui, ne sono certo, entreranno tutte le persone sulla Terra». E il maggiore [o i suoi “superiori”?] era tornato a terra irrobustito nel suo ateismo: «Non c’è nessun Dio quassù», forse perché nei colori aveva trovato conferma a questa sua convinzione: «Il cielo è molto nero, la Terra è azzurra». E se avesse, proprio lui, contribuito a sollecitare la Madre a insediarsi quaggiù, a Karaganda, tra le “sconfinate steppe kazake”, la cui tristezza era stata ingigantita e resa “insopportabile” anche dalle esplosioni dei test delle bombe atomiche del Poligono nucleare di Semipalatinsk?

Avevamo continuato a frequentare e visitare “con l’immaginazione” quel paese, commossi dai racconti sui prigionieri del lager ALZhIR di Akmolinski (ora Nur-Sultan e appena prima Astana) dove furono recluse le mogli dei “traditori della madrepatria”, spesso con i loro bambini. O dai racconti sui prigionieri del lager di Kengir, che, nel maggio del 1954, si rivoltarono, arrivando addirittura ad eleggersi un capo e perfino all’autogoverno, ma che infine furono implacabilmente schiacciati dai carri armati sovietici.

Ma soprattutto avevamo “visitato” i lager di Karaganda, quell’enorme sistema di campi noto come KarLag (da Karagandinstky Lager), lungo 300 km da nord a sud e 200 km da est a ovest, le cui vittime, dal maggio 2001 sono commemorate nel Museo di Dolinka.

Solo ultimamente, dalla lettura del libro scritto da un vecchio amico, abbiamo scoperto in famiglia l’insospettabile legame che lega Viktorsberg, un paesino del Voralberg di poco più di 400 abitanti situato tra Bregenz e Feldkirch, con Karaganda, trovando conferma che i fili tessuti dalla Provvidenza del Signore non solo possono essere lunghissimi nel tempo e nello spazio ma, spesso, come in questo caso, possono essere anche molto sorprendenti.

Era il 1975. A Viktorsberg, la signora Agnes Ritter, madre di tre figli, non ancora quarantenne, gestiva tranquillamente, insieme al marito, la sua Gasthof “Schöne Aussicht” (Bella vista), con quell’affabilità e quel garbo austriaci, che da molti anni abbiamo imparato ad apprezzare.

Affacciandosi sulla bella vista, Agnes – pur essendo nel Voralberg e non nel Tirolo (ma le belle viste sono simili) – pensava forse, come Papa Ratzinger, che “quel” panorama non fosse «diventato così bello soltanto grazie alla Creazione, ma perché gli uomini hanno risposto al Creatore».

Il ritmo della vita di Agnes, per volere del Cielo, era tuttavia destinato a cambiare.

Avvenne all’improvviso, dal giorno in cui «la Madonna le apparve in una serie di visioni», facendole una richiesta a prima vista “incomprensibile” e, per lei, quasi “irrealizzabile”: quella di far costruire una chiesa, la “Kirche aller Nationen“ (la “Chiesa di tutte le nazioni”), in cui sarebbe stata onorata come “Miterlöserin” (“corredentrice”).

Già se avesse dovuto farla costruire nel Voralberg, l’impresa per lei sarebbe stata molto difficoltosa, ma la richiesta era ancor più stupefacente: la nuova chiesa sarebbe dovuta sorgere a seimila chilometri da casa sua, fra le “montagne d’oro” dell’Altaj, nel sud della Siberia!

Se possibile, l‘evidente e quasi insormontabile difficoltà della richiesta era aumentata a dismisura dal fatto che, allora, l’Altaj, come il vicino Kazhakistan, facevano parte dell’Unione Sovietica, cioè era sotto il tallone antireligioso del regime comunista brezneviano, che, per di più, sembrava essere in piena salute. La Madonna, però, sul leccio delle apparizioni di Fatima, aveva visto un po’ più lontano…

Tre anni dopo, il 16 ottobre 1978, san Giovanni Paolo II sarebbe stato eletto Papa; ma già in quel 1975 le orecchie sensibili cominciarono ad avvertire qualche sinistro scricchiolio sulla tenuta della dittatura atea comunista – e forse, fin d’allora, qualcuno più “sensibile” cominciò a immaginare “contromisure”.

Agnes portò pazienza per più di quindici anni, fino, cioè, al 26 dicembre 1991, quando l’Unione Sovietica fu infine sciolta e la Repubblica dell’Altaj e il Kazakistan tornarono “liberi”.

Nel 1995, cioè vent’anni dopo l’apparizione della Madonna, Agnes, dopo essere guarita da una terribile malattia che le stava costando la vita, partì dalle sue montagne del Voralberg verso quelle “d’oro” dell’Altaj per conoscere de visu i luoghi che le erano stati indicati dalla Madonna per l’edificazione della chiesa. Ma il tentativo fallì per l’assenza del necessario visto sul passaporto. Riprovò con maggior fortuna l’anno dopo, riuscendo questa volta a identificare con precisione proprio il posto che la Madonna le aveva fatto “vedere”: si trattava del lago Teleckoe, un grande lago glaciale tra le montagne, che rimane congelato per molti mesi all’anno.

1) continua