INTIFADA STUDENTESCA ALL’UNIVERSITÀ DI TORINO: CHI PAGA? SEMPRE NOI! (di Federico Catani)

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Palazzo Nuovo, la storica sede dei corsi umanistici dell’Università di Torino, è stato assediato per ben 39 giorni dagli studenti in protesta. Questi giovani, con le loro rivendicazioni, chiedevano a gran voce che gli atenei torinesi interrompessero ogni rapporto scientifico e didattico con quelli israeliani.

Finalmente, il 19 giugno, l’occupazione si è conclusa quando, bontà loro, gli studenti hanno deciso di trasferirsi al Politecnico, che ora si trova anch’esso sotto occupazione.

L’occupazione non è stata una semplice manifestazione di dissenso!

Gli studenti hanno invaso l’edificio, lanciato fuochi d’artificio dal tetto e issato uno striscione provocatorio con la scritta “to be continued” sulla facciata. La loro voce risuonava per le strade di Torino al grido di “Intifada fino alla vittoria”, coinvolgendo circa 400 persone.

Ma non erano solo studenti!

Ai cortei e alle iniziative “pro Palestina” hanno partecipato anche militanti dei centri sociali torinesi, come Askatasuna, noto per la sua esperienza in manifestazioni violente. Infatti, questo gruppo ha persino tentato poco tempo fa di entrare al castello del Valentino, dove tre ministri italiani stavano partecipando a un convegno.

Questo è solo un esempio dell’anarchia che ha regnato durante l’occupazione.

Quando il corteo ha raggiunto via Po, sede del Rettorato, ha nuovamente imbrattato i portici, appena ripuliti dai commercianti della zona, con scritte e spray neri. Sui muri hanno affisso volantini con la scritta “Intifada ovunque, non finisce qua”, dimostrando una totale mancanza di rispetto per la proprietà pubblica e privata.

In un comunicato gli studenti dell’Intifada hanno espresso la loro intenzione di continuare la mobilitazione«Sappiamo che una mobilitazione così grande e persistente non possa essere perfetta in ogni suo dettaglio, ma crediamo profondamente nella lotta che stiamo portando avanti e nei metodi che proponiamo, sui quali da oggi potremo riflettere e creare una analisi».

La prima cosa che salta agli occhi leggendo il comunicato è l’assoluta presunzione di chi l’ha scritto.

E’ evidente che questa “lotta” coinvolge una minoranza irrilevante: solo qualche centinaio di studenti su oltre 120.000 iscritti all’Università e al Politecnico di Torino, una percentuale decisamente insignificante.

Inoltre, colpisce la fiera difesa dei metodi adottati, che includono: impedire l’attività didattica, imbrattare muri, intralciare la viabilità e le attività commerciali, danneggiare edifici pubblici. Come se fossero azioni giustificabili e nobili.

I dirigenti dell’ateneo torinese, come il rettore Stefano Geuna, si vantano di aver adottato una “linea del dialogo”, una linea “ferma e aperta al confronto”. Tuttavia, l’unica linea ferma è stata il rifiuto di interrompere i rapporti con gli atenei israeliani, e anche questo con riserve.

Per il resto gli studenti dell’Intifada hanno fatto tutto quel che pareva loro, indisturbati, quando, dove e per tutto il tempo che hanno voluto.

Nonostante i danni ingenti a Palazzo Nuovo, come dimostrano le poche immagini finora pubblicate, c’è chi minimizza anche su questo aspetto.

Il Vice-Rettore Giuseppe Martino di Giuda, intervistato dal quotidiano La Stampa, sostiene che si tratta soltanto di ritinteggiare e sistemare qualche maniglia divelta. Tuttavia, chi conosce l’edificio sa che poche decine di migliaia di euro non saranno sufficienti per il ripristino. 

È sconfortante che un docente universitario parli con tanta leggerezza di un edificio pubblico e dei costi da sostenere, dimenticando che si tratta di denaro dei contribuenti.

La comunità accademica paga il prezzo di una minoranza che agisce con impunità, mentre le istituzioni sembrano incapaci di proteggere e preservare il patrimonio pubblico e il diritto all’istruzione. E’ tempo di agire, di alzare la voce!

Non possiamo permettere che il radicalismo islamico incontrollato continui a minacciare la nostra società, i nostri valori, la nostra sicurezza…