LA “TRASFIGURAZIONE” DI KAMALA

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Riprendiamo da Libero del 19/08/2024 l’editoriale di Daniele Capezzone:

“Il poster in stile Obama per Kamala. Aprite gli ombrelli, mi raccomando! Per i classici temporali di fine estate? Macché: per la colata di bava che – dalla lontana Chicago – sta per raggiungere pure le nostre case e le nostre città, superando ogni ostacolo, inclusi un Oceano e le sfasature da fuso orario.
L’Inviato Unico, il Corrispondente Collettivo è infatti già pronto, dalla convention democratica che sta per iniziare, a una specie di Messa di incoronazione (al momento solo mediatica) di Kamala Harris: la stessa vicepresidente che perfino i giornali della sinistra americana avevano criticato per tre anni e mezzo, descrivendo il fallimento politico delle missioni che le erano state affidate (in testa, il controllo dell’immigrazione), raccontando le sue risate sguaiate, le sue gaffes, il suo essere più impopolare pure di Joe Biden.
E invece no: nelle ultime settimane, da quando la grande cupola dem si è sbarazzata di Biden imponendo lei (senza primarie, senza dibattiti, senza nemmeno una parvenza di discussione), è iniziata quella che il settimanale britannico Spectator ha opportunamente descritto come la “trasfigurazione” di Kamala. Non esiste più la Kamala reale: al suo posto, c’è una Kamala immaginaria e immaginifica, un’icona da usare contro il “cattivo” Trump, una scatola vuota da riempire in base alle convenienze e al marketing politico.
Siamo al solito derby tra realtà e narrazione. La realtà ci dice che la Harris non è affatto cambiata: si sottrae a domande e interviste, va nel panico se deve parlare anche un solo minuto senza testo scritto o senza gobbo elettronico, dice cose letteralmente venezuelane (o se preferite sovietiche) sul controllo pubblico dei prezzi, e ha scartato un potenziale vice moderato ed ebreo per sceglierne uno di ultrasinistra e pro Palestina.

Ma la narrazione costruita intorno a lei racconta tutt’altro: si sbianchettano i vecchi articoli online in modo che le eventuali ricerche sul passato rendano più difficile attaccarla, si crea un’onda (almeno in parte artificiale) di entusiasmo, si racconta (non si capisce bene perché) che la “generazione Z” starebbe con lei. E soprattutto si ricorre a quello che è ormai un mantra delle sinistre di tutto il mondo: sostenere che con la vittoria degli altri il Paese sarebbe diviso, mentre con loro sarebbe unito. Ah sì? Peccato che siano state proprio le selvagge campagne di demonizzazione contro Trump a sfociare in un esplicito tentativo di omicidio, fallito solo per una questione di centimetri, come ricordiamo bene.
Sta di fatto che l’onda mediatica pro Kamala è montante. Ed è prevedibile che i sondaggi, già pompatissimi a suo favore, registreranno dopo questa settimana di convention il proverbiale “bounce”, cioè un rimbalzo ulteriore.
È dunque tutto oro (per Kamala) quello che luccica? Andiamoci piano. Le ultime due elezioni americane (2016 e 2020) sono state decise più o meno da 70mila voti in tre Stati, e dunque anche stavolta sarà una gara punto a punto. A onor del vero Trump parte avvantaggiato in questa occasione (l’attentato di cui è stato vittima lo ha portato in una dimensione leggendaria), ma può ancora perdere. Il team Trump non è stato rapido nel riconcepire la campagna dopo l’uscita di scena di Biden, ed è parso colto di sorpresa dalla maggiore energia della Harris (sia pure con il doping mediatico di cui abbiamo detto abbondantemente). Inoltre, al momento, è stata scadente – per non dire controproducente – la performance del vice scelto da Trump, J.D. Vance, le cui uscite ideologiche e settarie hanno creato più imbarazzo che attrazione di elettori.
Cionondimeno, quando un po’ di polvere si sarà posata (per capirci: dal primo settembre, quando si farà davvero sul serio), al centro della scena ci sarà l’economia. Ed è quello il terreno su cui per la Harris (vicepresidente da tre anni e mezzo) sarà ben difficile sfilarsi dalla spiacevole eredità dell’amministrazione Biden.
In altri termini, si può fare tutta l’opera di cosmesi politica che si vuole, si può orchestrare la narrazione più favorevole (come i media embedded, cioè quasi tutti, stanno già facendo), ma sarà davvero difficile per Kamala sostenere di non aver potuto fare nel quadriennio passato le cose (peraltro largamente sbagliate) che propone oggi per l’economia Usa.

Non solo: questo è esattamente il terreno più favorevole a Trump: anche chi non lo ama riconosce che la sua gestione dell’economia fu ottima tra il 2016 e il 2020, con tagli di tasse efficacissimi e una disoccupazione di fatto azzerata.
Questa è dunque la sfida per Trump: non solo evitare che l’alone mitico creato intorno a lui dall’attentato in Pennsylvania venga fatto svanire dalla macchina mediatica filo-dem, ma soprattutto portare la campagna sui temi economici.

In altri termini, il tycoon dovrebbe cercare di trasformare la campagna in un referendum sull’economia (quella gestita male da Biden e oggetto delle lunari uscite di Kamala), ed evitare che invece il referendum si sposti sulla sua personalità, cioè sugli eccessi trumpiani: se accadrà la prima cosa, sarà lui a fare il pieno dei suoi voti potenziali e ad aggiungervi un po’ di incerti; se invece accadrà la seconda, saranno i dem a galvanizzare la propria base (comprimendo le sacche di astensione) e a poter tentare di sedurre non pochi elettori oscillanti, specie di sesso femminile.

Morale: prepariamoci a una settimana abbondante di circo pro-dem. Poi, dal primo settembre, inizierà la partita vera.”.